diotimacomunità filosofica femminile

per amore del mondo Numero 4 - 2005

Donne a teatro

“Ferro che Canta” spunti dallo spettacolo “Canto di Ferro” del Teatro Valdoca

Questo “Canto di Ferro” è la seconda tappa della trilogia “paesaggio con fratello rotto” del Teatro Valdoca, compagnia fondata da Cesare Ronconi e Mariangela Gualtieri, entrambi nati a Cesena, nei primi anni ’80 e diventata una delle realtà più feconde per quanto riguarda il teatro di ricerca in Italia.

Il 22 luglio scorso ero alla prima dello spettacolo alla Centrale di Fies, durante il festival “Drodesera”, e nel mio scriverne, ora, a distanza di tempo, vorrei cominciare con alcune parole della stessa Gualtieri: “Come sempre di fronte ai lavori di Cesare Ronconi la razionalità non è la miglior guida alla visione. Non servono occhi freddi e asciutti, davanti ai quali ‘ogni uccello giace spennato’. Ci vuole abbandono.”[1]

Ho cercato di recuperare in questo scritto quello stesso abbandono, nella consapevolezza di non potere e non voler fare una <fredda critica> che avrebbe oltretutto richiesto molte spiegazioni sulla poetica della Valdoca e non avrebbe probabilmente restituito il senso che nell’abbandono mi è stato possibile cogliere.

 

“E’ davvero un Canto di Ferro questa seconda parte di Paesaggio, ferro che batte su altro ferro, con scintille di fuoco che saltano agli occhi con la forza sonora di cento turbìne, con la luce di un incendio nel bosco, senza ristoro d’ombra, col furore delle catastrofi, con impeto d’alta tensione dentro i cavi, con lo spintone di mandria in corsa. Con urgenza.”[2]

Il paesaggio che incontriamo all’interno di una Centrale di Fies travolta dal temporale estivo è un ambiente rarefatto, in cui anche l’elemento naturale è reso astratto, quasi artificiale e lo spazio scenico è una foresta di simboli ormai indecifrabili. La luce accecante, impietosa, non crea ombre, profondità, ma appiattisce, rende visibile e quasi oscena la ‘carne’ di questo microcosmo, ferisce l’occhio crudelmente, strema lo sguardo. All’interno di questo mondo, figure tra l’umano, il mitologico e l’animalesco si muovono, nascono, lottano.

Sono personaggi storti, vacillanti che costruiscono una scrittura di corpi frenetica, stonata. Quasi naufraghe, approdate chissà da dove, estreme, cavate fuori con forza da un ventre sgangherato emergono a cercare quel riscatto, quella luminosità già invocata ‘in assenza’ nella precedente tappa del paesaggio “Fango che diventa luce”. Nella prima parte della trilogia infatti la stessa luce impietosa manifestava e denudava la lacerazione del nostro tempo, del nostro mondo occidentale, ‘la lontananza da ciò che ci tiene in vita’.

In Canto di ferro si tenta invece un punto croce doloroso danzato e gridato dalla Ricamatrice e dalle due Femmine feconde con il filo dei loro corpi. I sette personaggi e il musicista agiscono con una determinazione che pare seguire un destino, un’urgenza che fa appello alla dirompente vitalità dei processi naturali, delle calamità e delle nascite, degli animali, dei bambini molto piccoli. Quello che si consuma in questo scenario è un rituale antico e profondamente nuovo, necessario, di scomposizione di se stessi, trasformazione che si mostra continuamente in ogni risvolto, anche il più crudo, scandita dai gesti talvolta impercettibili, spesso incomprensibili, di un maestro di cerimonie che rimane in uno spazio sacro ben delimitato.

Le figure più contraddittorie, il Ragazzo cane e la Geisha appaiono rivoltati, dal profondo della loro animalità diventano indizi di una saldatura possibile.

 

La parola è lanciata come un grido sott’acqua, è sempre difficoltosa, stentata, filtrata quasi venisse da molto lontano, da viscere segrete. E’ balbettamento infantile e litania oracolare, carica di forza creatrice.

La scrittura di Mariangela Gualtieri è da sempre fortemente radicata nei corpi degli attori, ne è voce, singhiozzo, brontolìo di stomaco, risa, danza di corde vocali; è profondamente organica e tuttavia non esaurisce mai completamente la scrittura dei corpi, non combacia mai perfettamente, filtrata da microfoni che sono un elemento costante, simbolo di come “dal percorso artistico della Valdoca emerge una parola incarnata: la relazione tra poesia e scena è un attrito, uno scontro amoroso di versi e corpi, in cui le parole e la carne si sono per qualche attimo certamente amate.”[3]

Una lotta e un corteggiamento tra i due linguaggi brucia lo spazio, porta alla luce una parola affermativa, stanca del negativo, dei piccoli lamenti quotidiani, dei borbottii, nel tentativo di ‘dare all’uomo un poco dello splendore che gli spetta’. Le ultime parole, pronunciate dalla Ragazza uccello ‘a voce nuda’, rimangono semplici, modeste parole d’amore a testimoniare una trasformazione della parola in impulso vitale, sospiro originario e ultimo, così lontano dalla densità delle prime stentate sillabe.

Ferite nascoste sono state portate in superficie, cicatrici antiche hanno ripreso a sanguinare, la stortura umana, il passo sbilenco non sono mai stati così esposti né amorevolmente accolti.

Canto di ferro è un canto di guarigione, un tentativo di ricucire l’interno con l’esterno, di creare e ricreare corrispondenze, ridare a questa creatura zoppa, sempre scissa l’unità del suo essere divino e del suo essere bestia, scoprendo che è proprio lì, nella spaccatura, il punto di innesto alla ‘fiamma centrale’.

 

 

“Che si colmi la distanza

fra ciò che senti e ciò che fai

fra ciò che attendi e indaghi

e il poco che sai

 

che la morte sia la fiammata

che ti apre a tutti i poteri,

 

che la tensione che senti

verso l’immenso e il meraviglioso

sia l’inizio del volo

dentro il cuore di Dio.”[4]

 

 

Note:

[1]M.GUALTIERI, introduzione al libretto di “Fango che diventa luce”

[2]M.GUALTIERI, introduzione al libretto di “Canto di ferro”

[3]M.GUALTIERI, parlare al cadavere in “Quaderni del battello ebbro”,

Bologna 1993, pag.64

[4]M:GUALTIERI, dal testo di “Fango che diventa luce”

 

 

TEATRO VALDOCA

Paesaggio con fratello rotto

1.Fango che diventa luce

2.Canto di ferro

3.A chi esita

 

28 e 29 ottobre Teatro Storchi Modena

4 e 5 novembre Teatro Bonci Cesena