diotimacomunità filosofica femminile

per amore del mondo Numero 3 - 2004

Materiali Grande Seminario

Connesse: la politica nella rete – 2

Lavorare a questa conferenza è stato molto difficile perché percepisco il tema della politica nella rete come un tutto pieno dove è stato detto tutto ed il contrario di tutto da chi sostiene le tecnologie a spada tratta e da chi invece si rinchiude nella paranoia della sparizione del reale.

Un tutto pieno che corre ad una velocità tale che rende qualunque riflessione già vecchia e quasi obsoleta dopo pochi mesi.

Così setacciando le biblioteche mi sono ritrovata nella mia camera a leggere testi che mi continuavano a dire le stesse cose che sapevo già, che avevo già sentito o letto, che tutti più o meno sanno già, insomma che sono di dominio comune.

Telefono disperata a Diana anche lei invasa dai testi e nelle mutue narrazioni di quello che avevamo letto, tutto alle mie orecchie risuonava banale o di scarso interesse.

Per questo ho deciso di accantonare tutti quei testi e di fermarmi a pensare che cosa io oggi avrei voluto ascoltare se fossi seduta al vostro posto.

Mi sono chiesta che cosa mi sta a cuore e risponde al mio desiderio in questo immenso dibattito sulla rete ,o per usare un’immagine di Ida Dominijanni che mi piace molto, sulla“ragnatela grande quanto il mondo”.

E mi sono risposta che quello che per me è fondamentale è la relazione fra donne e nuove tecnologie, ossia cosa viene in tasca a me donna? Che porte mi apre internet, di che potenzialità stiamo parlando?

 

 

Vorrei iniziare a rispondere citando due testi che secondo me danno due prospettive assolutamente interessanti su quello che è il dibattito donne e nuove tecnologie.

La prima citazione è tratta dal testo di Luisa Valeriani, teorica dell’arte, dal titolo Dentro la trasfigurazione, che dice a proposito delle videoartist e quindi dell’utilizzo della tecnologia da parte delle artiste:

 

“La tecnologia è la protesi più efficace con cui il corpo femminile si impossessa del corpo del mondo; ma proprio per le caratteristiche funzionali del mezzo un tale impossessamento non è mai vettoriale, fallico.”

Una forma organizzativa, come sottolinea Diana Sartori, che sta sull’orizzontalità delle relazioni del contagio e del contatto rispetto alle forme falliche, gerarchiche e centralizzate.

 

L’altro testo è di Frances Cairncross dal titolo La fine delle distanze.

“Gennaio 1999: siamo ad un pranzo di lavoro durante il World Economic Forum di Davos. Vi partecipano delegati particolarmente interessati alle telecomunicazioni del Nord Africa e del Medio Oriente, una delle aree più interconnesse del mondo in via di industrializzazione. Un tecnofilo occidentale illustra in tono entusiasta ad un uditorio (ovviamente) maschile di quella regione i benefici economici che la rivoluzione delle comunicazioni può apportare ai paesi in via di sviluppo. La reazione è piuttosto tiepida. Poco dopo un altro occidentale-questa volta è una donna- si allunga verso l’oratore e gli sussurra «Ovviamente ciò che preoccupa veramente questi signori è l’effetto dell’accesso domestico ad Internet sulle loro mogli. Metterà a loro disposizione una finestra sul mondo.”

E mette in nota: “alcune stime ufficiose indicano che i due terzi degli utenti di internet dell’Arabia Saudita sono donne, molte delle quali usano la Rete per aggirare le restrizioni che limitano la loro attività economica e la loro vita sociale.”

 

Vorrei che questa relazione si trasformasse in una serie di immagini e di suggestioni, che a volte possono trasformarsi in provocazioni, che spero ci aiutino a riflettere personalmente  il tema di oggi partendo dal presupposto che internet rimane un mondo virtuale sino a quando non siamo noi a dargli un investimento di realtà, ad aprire la relazione ed immetterci nella rete.

 

 

Un contributo assolutamente importante nel momento in cui parliamo di donne e politica nella rete è la posizione delle cyberfemministe di cui ne sono sicuramente il manifesto le riflessioni di Donna Haraway .

Così ho deciso di riprendere in mano, non a caso, il suo Manifesto cyborg e di analizzare quelle che per me tuttora, il testo è del 1991, restano delle questioni fondamentali su cui fermarsi ed interrogarsi.

Il primo punto che ho individuato ci dice che il discorso sulle nuove tecnologie rivela l’immaginario culturale che lo sostiene. Questo implica e significa che il cyberspazio è la risposta ad un desiderio che non viene dall’alto né è esterno ma viene da chi sta in rete, in relazione.

Una ragnatela che si allarga, si trasforma, si muove in base a questo desiderio.

Pierre Lévy ci segnala la differenza fra l’automobile, la cui diffusione in continua ascesa caratterizza il ventesimo secolo, che risponde ad un desiderio di potenza individuale e il cyberspazio, dove l’allargamento della rete risponde ad un desiderio di comunicazione reciproca e di intelligenza collettiva, e non ad un desiderio narcisistico e fallico.

La comunità che alimenta internet è mossa dal desiderio di aprire spazi d’incontro, di condivisione e di invenzione collettiva.

Un’altra questione fondamentale per Haraway è l’imperativo etico di parlare il linguaggio di oggi.

Nella lingua corrente c’è sicuramente il linguaggio della rete.

Riguardo la problematica dello stare nella lingua corrente Vorrei riportare lo stralcio di un testo che un’amica che spesso scrive al nostro sito ci ha inviato tramite mail:

Ad uno dei tanti convegni a Monte Giove di Fano, organizzato dalle donne di Diotima dal titolo “Approfittare dell’assenza”, le partecipanti sono state numerosissime. Le relazioni di alta cultura e qualità hanno stimolato moltissimo, come testimoniano alcune relazioni di partecipanti al convegno, sia su Internet, che sui giornali. Ma era grande anche “l’assenza” delle donne comuni e non poteva essere altrimenti perché il tema era difficile ed ancor più gli interventi. Alcune hanno avuto timore di intervenire. I convegni sono necessari perché stimolano la ricerca mettendo in luce storie soggettive che potranno essere di grande aiuto per le donne, per capirsi, per tornare a relazionarsi come vuole la sua natura; capirsi e camminare, unite per la verità e per un rinnovamento necessario, senza più discriminazioni.?

 

Sicuramente l’utilizzo delle e-mail riesce a superare il timore di intervenire; e anche se non risolve il problema dello stare nella lingua corrente,(che rimane prima di tutto per noi una grande questione) comunque la rete ci offre perlomeno una forma di linguaggio corrente che permette ad esempio la comunicazione e la relazione con le giovani donne

Il linguaggio della rete infatti ci segnala e ci mostra che le cyberfemministe hanno un’identità nuova: sono più giovani e sono nate con la consapevolezza che il patriarcato era già condannato a morte.

Questo per me è un  elemento chiave poiché ci fa fermare a riflettere che mentre per le donne che hanno fatto la rivoluzione femminista il problema politico resta con gli uomini, per quelle nate dopo, che della rivoluzione raccolgono evidentemente i risultati, non è più questo il problema ma io aggiungerei è quello con la madre.

Rosi Braidotti nell’introduzione al testo di Haraway scrive “Sono giovani infatti le cyberfemministe : scrivono e compongono al computer, non con carta e matita; sono impegnate in tanti gruppi, pochi dei quali sono di sole donne” e più avanti scrive parafrasando la loro posizione “Basta con il moralismo femminista di mamma. Basta con le immagini sdolcinate che esaltano la potenza materna creatrice….”

Non voglio approfondire oltre questo tema perché sarà oggetto di una delle prossime relazioni a questo seminario.

L’ultima questione è quella della necessità di reinserire una dimensione politica delle donne nell’universo maschilista del cyberspazio, di fatto come ci diceva precedentemente Diana la rete è invasa di siti femminili, però di che siti stiamo parlando: di oroscopi, gossip, salute …

Partendo dalla pesante affermazione che il sistema post-industriale abbia reso del tutto superflua la politica dell’opposizione di massa, Haraway ci spiega che un cambiamento del sistema può avvenire solo dall’interno, basti pensare ad un virus, e ci esorta ad acquisire le nuove competenze in campo tecnologico e di familiarizzare con il virtuale perché questo cambiamento possa avvenire.

Questo è un punto che mi sta molto a cuore poiché fa parte della politica di molti miei coetanei il rifiuto totale della realtà capitalista-tecnologica e per chiarire la mia posizione vorrei portavi un’immagine per me è assolutamente emblematica e fa parte della mia esperienza.

Ho vissuto nei due anni passati a Barcellona e quando uscivo dal lavoro, trovavo ogni giorno ragazzi spesso italiani della mia età che definirei post-punk a chiedere l’elemosina.

Loro, emblema del rifiuto totale, che vivono per strada o in case occupate, che non lavorano e vivono di quello che trovano, che stanno ancora aspettando di fare la grande rivoluzione, si ritrovavano poi ogni sera davanti al Mac-Donald a mangiare un panino o gli avanzi del fast food.

E ogni volta che io passavo davanti a loro, e li vedevo con queste creste sfolgoranti illuminati da quella scritta al neon sopra alle loro teste,  sorridevo dentro di me e pensavo all’ironia della vita nel vedere come la loro idea di azione politica terminasse sotto il Mac Donald.