diotimacomunità filosofica femminile

per amore del mondo Numero 5 - 2006

Visioni

Clara Zappi e il quadro di figura. 1926-1936, un cruciale decennio

La presenza di Clara Zappi nel panorama artistico italiano si iscrive nel clima internazionale tra le guerre, segnato da una accresciuta presenza femminile in grado di movimentare – sulle orme di una generazione di artiste già attiva in seno alle avanguardie o in altre correnti del primo Novecento – la scena culturale europea, con l’apporto di una cifra stilistica originale e ormai affrancata da soluzioni e modalità in auge nel corso dei decenni precedenti.

Tramontano, con la prima guerra mondiale, le sperimentazioni delle avanguardie; dopo le morti e gli orrori, dilaga in tutta Europa, palesandosi anche nell’arte, il desiderio di un contesto rassicurante, in un anelito all’ordine che ben presto il Fascismo riesce a fa proprio all’interno di un programma globale di resa politica dell’immagine e acquisizione del consenso.

Va tuttavia sottolineato come, salvo avvicinamenti sporadici e ad eccezione forse della ferrarese Mimì Buzzacchi Quilici, nessuna delle artiste italiane abbia davvero abbracciato la causa del Novecento di Margherita Sarfatti orientandosi verso un tipo di arte esposta a forme di ossequio al Regime (il che, va da sé, non significa carenza di qualità artistica). Margherita Sarfatti gode d’altro canto di vasto credito a Ferrara, dove il 10 gennaio del 1926 tiene, in apertura del “Corso di Cultura Fascista”, la conferenza Le idee di Dante e Leonardo sulla pittura, ampiamente ripresa dai quotidiani locali. Nello stesso giorno Clara Zappi inaugura la prima esposizione d’arte.

Nata a Conselice di Ravenna nel 1897, e giunta a Ferrara nel 1910, l’artista manifesta sin dall’adolescenza un precoce talento; dopo aver frequentato il Regio Istituto di Belle Arti a Bologna, nel 1917 consegue il diploma in Figura e successivamente quello in Ornato, grazie ai quali ottiene l’abilitazione all’insegnamento del disegno. Si dedica quindi all’ideazione e produzione di varia oggettistica per alcune ditte di Milano e Roma, ma nel 1925 pone fine all’esperienza e fonda il laboratorio di Arte Popolare Italiana. Sul modello delle Mostre Internazionali d’Arte Decorativa Industriale Moderna, sorte a Monza ad opera di Guido Marangoni, a cui Clara partecipò ripetutamente, l’Atelier ospita una esposizione permanente di ceramiche, tessuti, oggetti decorati e di arredamento. In seguito, viene segnalata la partecipazione della Zappi alla Mostra di Belle Arti promossa dalla Borsa di Commercio di Ferrara (Corriere Padano 8-5-1936), fatto che in certo qual modo segna la fine di un ciclo. Mai paga di novità e insoddisfatta dell’ambiente Ferrarese, l’artista si trasferisce a Ortisei; a Firenze frequenta il corso di restauro presso il laboratorio di Giannino Marching e avvia un rapporto di collaborazione con l’insigne architetto dei giardini Pietro Porcinai.

Il profondo affetto verso Giovanna Hartmeyer e il verificarsi di favorevoli opportunità di lavoro la portano a trascorrere lunghi periodi in Svizzera. Dopo aver inseguito suggestioni figurative nei centri di tutta Europa, torna infine a Ferrara, ove muore l’11 gennaio 1973 nella quieta casa di via Erbe 9.

Durante il cruciale decennio dal 1926 al 1936, la ricerca di Clara non è circoscritta alle arti applicate, genere che peraltro l’artista aveva contribuito ad elevate al rango artistico: parallelamente fa  esordio una linea espressiva tesa a privilegiare il quadro di figura.

Radicali mutamenti impressi alla “vita delle forme” avevano modificato, sin dagli esordi del secolo, l’idea stessa di opera d’arte e l’approccio alla comprensione di un evento creativo. A partire dalle deformazioni cubiste, espressioniste e futuriste, una sorta di linea di infrangimento nella rappresentazione del corpo umano, accompagnata da una sospensione della ritrattistica, aveva sancito il progressivo declino di un ordine di identificazione e di bellezza. Se al paesaggio, luogo dell’anima e accademicamente ancora genere, viene concessa una possibilità di reinvenzione estrema, se la natura morta si continua a percepire come vera e propria mise en scene della realtà, si scatenano sulla figura umana i moti più profondi di censura. In virtù di un millenario pregiudizio, che aveva escluso le donne da ogni contesto artistico, in gioco era stato sempre e solo l’ossessivo voyeurismo maschile. Come sottolinea Jean Clair, nel 1907 Picasso compone una serie di autoritratti che lo riprendono in posizione frontale, con il volto divorato dalle fessure nere dello sguardo. Nel mettere in scena l’occhio, figura omotetica del sesso femminile, l’artista tenta non solo di coniugare quanto di simbolicamente più alto e di più basso esista nel corpo, vultus e vulva, ma di conciliare gli opposti assumendo sul proprio volto i termini della millenaria frattura tra pittore e modella, tra artista e ciò che nei secoli aveva rappresentato la summa delle sue aspirazioni e ambizioni: il nudo di donna.

Non è un caso che, agli antipodi dell’accademismo, si collochino opere volte ad intervenire principalmente sulla figura femminile, secondo un procedimento di alterazione e scissione cui vanno peraltro ricondotte una diversa idea di pittura e di arte. Su altro versante, le correnti espressionistiche mettono in scena il disfacimento e la spossatezza interiore che si leggono in occhi muti e in membra abbandonate per aver troppo visto e provato: una disaffezione e un male di vivere legati forse ad una società al capolinea piuttosto che ad alcune sfortunate cellule ai suoi margini; e inoltre, quale erotismo bruciante e mostruoso, quale annientamento derisorio, trasuda dalle tele surrealiste.

Il recupero del figurativo, diffusamente invocato nei decenni successivi, non può che ammantarsi, per parte femminile, di inedite sfaccettature, legate ad un desiderio prepotente di auto-identificazione e ripristino di quel corpo a lungo martoriato.

La serie dei nudi che in quello scorcio di anni Clara Zappi andava dipingendo con l’ambizione di rendere, tramite le sorprendenti trasparenze e vaporosità del colore. la sensazione tattile e cromatica della carne, va dunque considerata secondo tale prospettiva.

Affiorano nitide, dallo sfondo disadorno delle pitture a olio, le forme sinuose del corpo femminile che, ora posto in verticale rispetto al piano di appoggio, ora mollemente disteso, invade quasi totalmente lo spazio pittorico rinviando all’algida espressività di certa pittura germanica coeva. Sovente, la sensualità delle figure erompe da diafane vesti o teli appena drappeggiati, ma in un olio del 1927, la modella appare nella sua intera nudità: adagiata su morbidi cuscini di un letto, una giovane donna indica con la mano sinistra il cofanetto dei gioielli – magico scrigno di reconditi e inconfessati desideri femminili – che la densa penombra inghiotte. L’immagine taglia in diagonale la tela: una zona in semioscurità contende spazio a una zona rischiarata da una luce che promana dal corpo stesso e si intensifica nel contatto con l’abbacinante candore del lenzuolo in primo piano.

In bilico tra l’opaca realtà delle futili cose ascrivibili alla sfera femminile, quotidiani simulacri di una natura inerte e rassegnata, e l’universo luminoso della conoscenza, quel nudo acquista funzione simbolica nei confronti della stessa soggettività artistica, quasi a significare che senza la donna, senza coscienza della propria identità corporea, non esiste l’artista.

E’ poi del 1915 uno dei primi autoritratti di Clara appena diciassettenne, mentre risale a qualche anno dopo un bellissimo disegno, nel quale la pittrice si raffigura con basco e sigaretta fra le labbra, in un atteggiamento anticonformista e provocatorio che ricorda il noto Autoritratto di Deiva De Angelis del 1920. Suggestivo inoltre un olio del 1926, ove l’autrice indossa il grembiule grigio da lavoro: il corpo celato dietro l’“uniforme”, il busto girato appena verso tela e tavolozza, indicano nella pittura stessa l’oggetto centrale del dipinto, il mezzo di accesso al linguaggio. Spunta una via, congeniale anche in seguito all’artista, basata sulla ripetizione di elementi iconografici e stilistici quali: il rigore formale, la ricerca di equilibrati contrappunti cromatici, l’ambiente spoglio a maggior risalto della figura umana, l’espressione sovente pensosa dei protagonisti, la forza penetrante degli sguardi. Di particolare interesse, in tal senso, un ritratto dedicato alla fotografa Maria Sinz, alla quale la pittrice era legata da lungo sodalizio artistico: l’elegante abito in velluto marrone con ampio collo bianco a fascia, l’espressione altera e intensa dello sguardo rivolto ad un orizzonte al di là dello spettatore, rendono l’immagine seducente ed enigmatica come l’arte stessa; ritratto dell’artista, dunque, il cui significato eccede i confini dell’esercizio professionale o dell’omaggio all’amica.

Nel solco di una nutrita tradizione filosofica ed estetica, Leon Battista Alberti forniva circa cinque secoli orsono una chiara formulazione teorica del tema inerente al ritratto; con riferimento al mito di Narciso, ove era ben avvenuta una seduzione, egli stabiliva un’analogia tra l’attimo in cui il fanciullo coglie il riverbero del proprio volto sull’acqua e l’atto del dipingere. Sull’asse ambiguo dell’incrocio, o del bisticcio, tra il significato di “sapere speculativo” e il significato di “rispecchiamento”, entrambi presenti nel concetto di speculum, il ritratto assumeva valore metaforico nei confronti del socratico “nosce te ipsum”, aprendo la dimensione introspettiva alla coscienza dell’artista. Il segno femminile non solo potenzia e amplifica il contenuto dell’immagine, rendendo interprete di sé chi, sino ad allora, aveva rappresentato l’oggetto del quadro, indica bensì il luogo di un’altra fascinazione, la fonte di una diversa antropologia artistica.
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Clara Zappi, Nudo femminile, olio su cartone cm. 70×100, Bondeno, coll.Tassi

 

Bibliografia:

 

1) E. RAVENNI, L’arte al femminile. Dall’impressionismo all’ultimo Novecento, Roma 1998.

2) Presenze femminili nella vita artistica a Ferrara tra Otto e Novecento, a cura di A.M. Fioravanti baraldi e F. Mellone, Ferrara 1990.

3) Le metamorfosi del corpo, a cura di W. Guadagnini, Milano 1996

4) J. Clair, Il nudo e la norma: Klimt e Picasso nel 1907, in “Forme e pensiero del moderno”, a cura di F. Rella, Milano 1989.