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per amore del mondo

Cartoline

Cartolina dallo Yemen  

Ho passato due settimane in Yemen. Amo i viaggi, e quest’ultimo l’avevo
sognato da tempo in tutti i suoi ingredienti: paesaggio desertico, frutta
esotica, moschee, cammelli, e tanto altro che una donna di mezza età come
sono, romantica e occidentale, può fantasticare su un paese della penisola
arabica.

Nonostante la mia fervida immaginazione, non potevo prevedere l’impatto con
la bellezza davvero unica della parte più antica della capitale, la dolcezza
dei manghi locali e la presenza desolante di cumuli di immondizia in balia
del vento.

Ma il vero imprevisto è stato l’incontro con le tante donne di ogni età che
ho potuto vedere, ascoltare, conoscere.

Roberta la metto per prima, perché è una mia amica che vive lì da molti
anni, mi ha ospitato ed è stata tramite per altri incontri. E’ partita una
quindicina di anni fa come fisioterapista, ha collaborato a mettere in piedi
una scuola di fisioterapia, ed attualmente insegna ai ragazzini che
frequentano la British School di Sana’a; nei suoi programmi insiste molto
sulla cultura dello scambio e della pace fra i popoli. Ama la sua vita in
Yemen, dove vive col compagno e i due figli.

Sua madre Rosy, solo in questo elenco seconda, è la donna con cui ho
intrapreso il viaggio: stupenda ottantenne che all’inizio temevo dovermi
trascinare come un peso (i pregiudizi giocano brutti scherzi!) e che invece
si è rivelata instancabile al punto da sentirmi, al confronto, una lagna.
Sabina è archeologa. Col marito ha fatto scavi e portato alla luce siti del
regno della Regina di Saba. Averla come guida al museo è stata davvero una
fortuna.

Ermes è partita sei mesi fa da Vicenza per un progetto che le sta cambiando
radicalmente la vita: insegna italiano in un corso istituito da poco
all’Università di Sana’a.

Raufa Hassan, anche nella sonorità del nome è autorevole. Donna di grande
cultura, Diana Sartori l’aveva conosciuta due anni fa in un convegno nella
capitale yemenita, e prima di partire mi aveva detto di cercarla. E’ così
impegnata che non sarebbe stato facile avvicinarla, se incidentalmente non
l’avessi incontrata ad una mostra di pittrici vicino a Bab el Yemen. Porta
il velo in modo singolare (nel senso che è l’unica a portarlo così):
colorato e arrotolato sulla testa in modo tale da lasciarle il volto
completamente scoperto. So che ha criticato pubblicamente il regime
islamico, e per questo si temeva per lei, ma continua a lavorare per
l’emancipazione femminile e ad organizzare convegni (l’ultimo, ad Aden, sui
modi di vestire delle donne dal ’48 ad oggi). Ho intuito che Raufa è un
punto di riferimento importante quando ho visitato la sede di una delle
associazioni che promuovono la visibilità del lavoro femminile
(nell’informatica, nell’artigianato, e altro): appena ho
pronunciato il suo nome, le presenti si sono illuminate. La chiamano
“dottora”.

Per non dilungarmi smetto qui l’elenco delle singole, e vi invito ad
immaginare una folla di donne completamente vestite di nero, il capo e il
volto coperti.

Se per un attimo si potesse mettere da parte il significato simbolico che il
velo assume nella cultura islamica, si potrebbe spostare il punto di vista
su aspetti certo più parziali, fors’anche demenziali (la demente in questo
caso sarei io), forse non trascurabili. Le donne in questione si muovono
come se il velo totale permettesse loro forme di libertà che altrimenti non
potrebbero avere. Le ho viste trattare energicamente lo scambio della loro
dote (ogni donna prima di sposarsi accumula oro, che porta in dote, e che
rimane di sua proprietà e a sua completa disposizione); le ho viste farsi
largo a gomitate in assembramenti di uomini che sembravano invalicabili.
Che non siano riuscite – come da che mondo è mondo – a ricavarsi un utile
all’interno di questa imposizione? Entro volentieri nel pettegolezzo (che
gusto!) dicendovi ciò che ho sentito da fonti autorevoli (il passaparola tra
femmine): le yemenite, specie in città, sono delle grandi fedifraghe.

Coperte come sono, vanno dove vogliono senza che nessuno le possa
riconoscere. Non sto facendo l’elogio del tradimento, e forse questo è solo
un pensiero vendicativo, che però è carino se pensiamo che lì i matrimoni
spesso sono ancora combinati.

Mi sono vestita allo stesso modo per qualche ora e vi assicuro che è
un’esperienza interessante: vedevo e controllavo tutto, potevo fare anche le
linguacce ogni volta che mi veniva spontaneo (ovvero, spesso); non dovevo
temere nè di arrossire, nè di essere compiacente.

E’ pur vero che anche lì i cellulari hanno tolto molti ostacoli alla
possibilità di comunicare direttamente con chi si desidera (e infatti le
ragazze danno appuntamenti agli innamorati con gli sms); è pur vero che
Internet ha spalancato altre porte alle donne con discreta cultura
scolastica…ma questa cosa del velo ancora m’intriga!