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A che gioco gioca la differenza sessuale tra Nancy e Lacan?

 Il ‘c’è’ del rapporto sessuale: è questo il testo di una conferenza tenuta a Venezia da Jean-Luc Nancy e poi diventata un libretto, che ora SE ha tradotto per l’Italia.

Jean-Luc Nancy inizia il suo discorso sulla possibilità di esserci nell’incontro del rapporto sessuale prendendo le distanze da Jacques Lacan. Certo il merito reso al maestro rimane ed è sottolineato con deferenza, ma di fatto la reale sotterranea polemica si mostra con un allontanamento netto. L’interesse di questo scontro sotterraneo sta nel fatto che entrambi parlano di differenza sessuale e del possibile o fallito incontro tra donne e uomini e questo mi riguarda. Ci riguarda. La forma della sessualità ne è il sintomo.

Scrive:

 

«Si tratta del rapporto sessuale in quanto ha luogo: non certo per smentire Lacan, che sostiene che non c’è rapporto sessuale, ma per distinguere quel che c’è (quel che è dato, presente, disponibile) da quel che ha luogo (quel che non è dato ma si dà, quel che accade, che sopraggiunge»(p.9).

 

Nancy parla dell’incontro nel rapporto sessuale come di una relazione, che non si pone come terzo, come ponte tra i due, ma come un evento che ha come sua caratteristica l’incommensurabilità. Il non poter misurare il darsi reciproco è dato dall’intimità, da un pudore, da un velo, che fa sì che nel darsi vi sia sempre qualcosa che rimane invisibile. Un resto. Qualcosa che non può essere portato alla superficie della visibilità. Tutto l’opposto della pornografia. In quanto accadere, il godimento del rapporto sessuale si raggiunge e si consuma mentre si sgretola. Non può essere calcolato, iscritto in un registro del dare e avere. È oltre: un eccesso.

Per simbolizzare questo rapporto come “accadere” Nancy adopera la figura del “tra” già introdotta da Heidegger per parlare della differenza ontologica come evento e ripresa da Derrida per descrivere le differenze tra le quali appunto anche la differenza sessuale. Quindi più ancora che Lacan sono Heidegger e Derrida le fonti più o meno segrete di questo testo.

 

Lacan in Ancora, il seminario XX così discusso e ridiscusso da molte donne negli anni ’70, diceva qualcosa di ben diverso. L’impossibilità dell’incontro sessuale era per Lacan dell’ordine del simbolico. Siccome il linguaggio simbolico era dominato, secondo Lacan, dal significante fallico e dato che le donne si inscriveva come “non tutta” in rapporto a tale significante, l’incontro non era simbolicamente possibile. Lacan segnala che le donne sono anche altrove. Non sono tutte prese nel linguaggio fallico, ovvero in ciò che si significa della differenza sessuale in questa prospettiva. E gli uomini sono sì presi tutti da quel significante, che però li rinchiude, quasi sigillati, in un ordine onnicomprensivo. Ordine che non è quello del corpo nella sua nudità. Il corpo nudo, senza maschera, è ciò di cui non possiamo alla lettera dire niente nel simbolico.

 

Irigaray, nella sua nuova creazione del pensiero della differenza sessuale, ha modellato in Speculum uno squilibrio tra uomini e donne. Gli uomini si definiscono e si compiacciono di un linguaggio che segna i contorni e permette di esserci completamente in quel che viene detto. Le donne sono volumi senza contorno. Sono nel linguaggio e anche un po’ oltre, a fianco. Hanno un’eccedenza che rende impossibile imbrigliarle in definizioni, in formule. Sfuggono e attraversano la lingua mimeticamente, trasversalmente. Questa eccedenza delle donne impedisce di fare “uno” tra donne e uomini. Impedisce di pensarli complementari, crea un movimento infinito di non incontro e però di sempre nuova produzione di significati nella tensione di scambio tra donne e uomini.

Si vede bene attraverso Irigaray come Lacan abbia dunque mostrato questa eccedenza delle donne rispetto al linguaggio. Il contributo che egli dà al pensiero della differenza sessuale è che segnala una asimmetria tra donne e uomini, un non ritorno, l’impossibilità di far quadrare i conti, che si potrebbe pensare come inquietudine che non trova mai appagamento in una condizione armonica. Irigaray ha dato forma a questa inquietudine trovando simboli per una soggettività femminile che non si rinchiude mai nell’”una” identica a sé, ma è sempre una e l’altra. Una è sempre cioè schiusa all’altra e questo è il perno simbolico per cui una donna non è mai tutta rispetto al linguaggio. Non può esserlo perché non è mai “una”.

 

Della differenza maschile e di quella femminile cosa rimane invece nel testo di Nancy? Niente. Nonostante le belle pagine sull’intimità che crea un resto nell’incontro-accadimento del rapporto sessuale, la differenza sessuale, in quanto simbolo a partire dal quale riflettere nel linguaggio, è nel suo testo neutralizzata. C’è sì una differenza dei sessi, ma trattata in generale, dove è la differenza che differisce e che non è fatta di due che diventano uno nel rapporto sessuale, ma che continua nel suo accadimento a generare differenza. E questo varrebbe indifferentemente per i rapporti eterosessuali come per quelli omosessuali. Differenze, contraddizioni tra donne e uomini? Non se ne sa niente. Descrive sì con parole molto precise le figura simboliche del rapporto sessuale, ma sono figure che si nascondono dietro al neutro generalizzato. Senza voler più di tanto rifare un percorso, che ha avuto un suo significato di rottura anni fa quando si ragionava sul neutro che nasconde un immaginario maschile, tuttavia è proprio questo che avviene nel testo di Nancy. Quando parla della qualità del rapporto sessuale, del suo andirivieni, del suo va e viene, è facile leggere in controluce l’immaginario maschile che porta in scena la letteralità della sessualità maschile. La sessualità presa alla lettera è infatti paradossalmente del registro immaginario.

 

Di spunti interessanti nel testo di Nancy ve ne sono molti. Penso ad esempio alla figura dell’adorare: l’adorazione come piano semantico che non viene in superficie e che resta segreto anche per chi lo agisce, per cui non passa mai all’atto. Figura centrale per capire il legame di un accadere che non preserva mai niente e non mette mai niente da parte. Oppure alla figura del desiderio, che non è mancanza, ma slancio, “movimento verso” come apertura senza realizzazione. Di idee su cui riflettere ce ne sono dunque tante, ma è l’impianto generale del discorso che perde di vista il gioco asimmetrico delle posizioni delle donne e degli uomini rispetto alla differenza sessuale. Lo squilibrio che questo crea e il percorso accidentato a cui ciò ci obbliga.

Non è per me questo un discorso come un altro. Ha un grande peso in un momento della nostra civiltà nel quale lo squilibrio della differenza sta diventando baratro, mentre questo baratro incolmabile viene coperto e confuso nei termini di una ideologia dell’eguaglianza che le donne dovrebbero avere con gli uomini in un occidente progredito ed evoluto. Quanto più lo squilibrio rimane senza parole tanto più esso diventa una spirale distruttiva di legami simbolici.

Per questo, nonostante le immagini intense di Nancy sull’intimità come resto che impedisce la complementarità del rapporto sessuale, lo trovo, quello suo, un testo che sta al di qua di ciò che è la questione oggi del rapporto tra i sessi. Una questione di linguaggio, di erotismo, di politica, di scommessa su una civiltà. Se non si trovano parole per le difficoltà, gli scacchi, gli spostamenti che lo squilibrio tra i sessi crea, il baratro si farà sempre più profondo.

E io ho bene la consapevolezza che per la parte femminile aveva ragione Irigaray: la messa in parole è tanto più complessa da parte delle donne perché una donna non è mai una identica a sé accanto ad altre – ognuna nella propria identità -, ma è una e l’altra contemporaneamente. Ovvero schiusa all’altra prima che nel rapporto con l’altro. Ed è proprio perciò che nel linguaggio che ci nomina come “la donna” – identità definita – ci si ritrova e si è sempre anche altrove.

Ora è proprio questo che rende paradossale lo scambio con gli uomini. Ci parliamo e al medesimo tempo non ci incontriamo. Creiamo legami e al medesimo tempo il rapporto è impossibile. Eppure è proprio il paradosso che ci può portare, per la stretta a cui ci obbliga, ad invenzioni imprevedibili. Nella politica, nel linguaggio, nella vita quotidiana.