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Laura Conti: una scienziata ecologista

2 Maggio 2020

Chiara Zamboni

 

Vorrei parlare di Laura Conti, perché la penso come la figura più importante dell’ecologia in Italia dagli anni Ottanta del Novecento. Considero essenziale riconoscere il sapere, l’impegno politico ed esistenziale di quella che potremmo chiamare una “madre di tutti noi”. Studiandola, leggendola, considerando la sua passione politica, si può comprendere ora dove ci collochiamo e qual è l’insegnamento che possiamo riprendere da ciò che ci ha lasciato in eredità.

Non è stata femminista in senso stretto in un periodo in cui il femminismo era diffuso, seguendo la sua seconda ondata. Ma ha avuto, come medica e scienziata, grande attenzione per la salute delle donne e la vita delle donne essendo una donna. E di questo aveva grande consapevolezza. Per me questo basta. Essere una donna e assumerlo orientandosi nella realtà, è il primo e più importante passo politico, se si parla di politica delle donne.

Prima però di parlare direttamente di lei, ricostruendo una genealogia che ci è necessaria, vorrei riprendere alcuni elementi della differenza sessuale. Potrebbe sembrare inutile e ripetitivo, ma altrimenti, mi sembra, perdiamo la misura di fronte alla miriade frammentata di temi, di questioni, di conoscenze, di informazioni, che la questione della natura e il dibattito ecologico portano con sé. È come camminare su sabbie mobili, tanto le posizioni si uniscono o si contrappongono, o si modificano. Quindi tenere ben stretto il filo della differenza sessuale ci aiuta a non sperderci. Ad orientarci nel grande mare di temi, informazioni, conoscenze, questioni che l’inquietudine per la natura, e l’attenzione all’ecologia suscitano.

In prima battuta quello che propongo è un’ermeneutica sessuata di queste questioni. Il che significa che noi leggiamo e patiamo questi temi a partire da una incarnazione sessuata. Ho visto quanto questa posizione sia facilmente travisata e ridotta ad una semplice simmetria tra il femminile e il maschile, le donne e gli uomini, un genere e l’altro. In definitiva, parlare di genere femminile e maschile riduce il tutto ad uno sguardo neutro e di sorvolo che da fuori e dall’alto vede la simmetria dei due generi distendersi nel mondo sotto di sé. Come ogni sguardo neutro, anche questo facilita un ragionare scorrevole e senza intoppi e l’azione politica diviene come pattinare su di una superficie liscia, su cui si può agire come su di una scacchiera, muovendo le pedine. Allo stesso tempo si ritiene che con leggi, decreti, consigli istituzionali, si possa cambiare la realtà dei generi o cancellarli.

Ma la prospettiva da cui si muove il pensiero della differenza è che essere una donna significa avere consapevolezza costitutiva dell’altro, che è l’uomo, e questo si accompagna allora alla consapevolezza degli altri esseri, del mondo.

Un’ermeneutica sessuata dell’altro, degli altri, del mondo implica un esserci, un patire la propria presenza in rapporto all’altro, indicarla a chi ci ascolta, sentirla, dargli parola senza uscire dal cerchio della relazione. Una donna trova in questo il proprio modo di fare teoria nel cerchio della relazione e così fa vedere cose che altrimenti non potremmo vedere. Senza uscirne. Esattamente qui e ora.

Il pensiero della differenza dà una impronta, che mi sembra inaggirabile, all’ecologia. Non si tratta infatti semplicemente di dire che il mondo è relazionale. L’ecologia mostra che tutto il cosmo è relazione. Questo è ancora uno sguardo neutro che si pone fuori dal cosmo e guarda dall’alto che tutto è relazione. Io parlo, piuttosto, a partire da una relazione incarnata e da lì posso dire qualcosa di vero che riguarda anche altri, il cosmo. Ma non posso mettermi dall’alto e guardare come se ne fossi all’esterno. Come se fossi sulla Luna a guardare la Terra. Sono qui e ora, sono una donna che parla all’interno di relazioni. Ciò che caratterizza questo gesto è una dimensione asimmetrica, squilibrata. Non sono un soggetto onniscente. La posizione neutra è la posizione di chi si pone al posto di Dio, non dal punto di vista di chi patisce dall’interno una certa situazione.

Dove Laura Conti ha mostrato l’incarnazione della differenza sessuale, questo essere in una relazione incarnata? Asimmetrica. Dove e come ha mostrato di fare un discorso teorico mettendosi in gioco personalmente e non semplicemente di dare una conoscenza oggettiva, per cui lei dunque supera l’opposizione soggetto-oggetto? Lo ha mostrato quando ha parlato dell’amore per la Terra come leva fondamentale che l’ha portata all’ecologia. Ad occuparsi politicamente del nostro pianeta. È il suo punto incandescente in cui si nota più fortemente l’asimmetria. Non necessariamente per tutte è questa la via della differenza, ma questa donna offre qualcosa di vivente al processo di verità quando tocca questo punto asimmetrico vivente, fertile, generatore.

Vorrei spiegarmi, riprendendo alcune linee del pensiero di Laura Conti, per mostrare il modo di darsi di questo punto di incandescenza sessuato, che è nel suo percorso l’amore per la Terra. La sua affermazione, che si sente impegnata soggettivamente per la salute e il benessere di tutte le creature umane e non umane e per il pianeta e che fonda questo impegno nella conoscenza scientifica, rende la conoscenza scientifica non neutra. È non neutra perché inserisce i processi di sapere all’interno del campo più vasto del sentire soggettivo che impegnano più di qualsiasi scelta etica. Ed è anche non neutra perché dire che è l’amore che la spinge verso il conoscere il pianeta per renderne migliori le condizioni è qualcosa che per lo più sono le donne a dire nella nostra contemporaneità.

Molte sono le testimonianze di giovani scienziate, che dichiarano di aver iniziato studi lenti e faticosi di biologia, medicina, fisica ecc., in quanto guidate da amore per il mondo e la natura. Succede che poi non sanno esprimerlo all’interno della loro disciplina, prese dallo studio così come viene veicolato in paradigmi disciplinari. In questo senso c’è una loro differenza femminile che si esprime in questo e che viene avvertita come fuori posto dallo sguardo degli altri; loro stesse finiscono per autocensurarsi su questo tema con l’andare del tempo.

Laura Conti invece lo esprime, lo scrive. Come lo scrive anche Evelyn Fox Keller quando riporta la posizione di Barbara McClintoch, la genetista che parlava di amore per la singolarità del gene del grano che stava studiando. È il passaggio da un’episteme fondata sulla contrapposizione soggetto-oggetto ad una nuova episteme legata alla relazione amorosa nella ricerca scientifica. Un’area di discorso che viene censurata accuratamente negli studi di allora. Come di oggi. Considerata superflua.

Mi fermo dunque su questo tema dell’amore per la natura, che è slancio, tensione, che Laura Conti sente vincolante per sé. Condizione di conoscenza scientifica della natura e leva per un’azione politica a favore delle creature e del pianeta.

Ci sono diversi modi in discussione oggi sul modo di rapportarsi alla natura. Mi fermo soltanto su due di questi. Quelli in cui si coglie maggiormente la differenza di posizione rispetto a Laura Conti. Dunque non voglio affatto essere esaustiva. Del resto so bene quanto le manifestazioni per la natura e il clima come Friday For Future siano fondamentali per una presa di coscienza collettiva. Lo slancio di fondo le accomuna al sentire e al pensiero di Laura Conti.

La prima posizione è quella che fa leva sull’interesse economico per una politica per la natura. Faccio riferimento alla green economy. È fondata sulla idea che il mercato e le aziende aumenteranno il profitto se verranno favorite le energie rinnovabili e le agricolture sostenibili. Viene coniugato l’interesse economico all’interesse per il pianeta attraverso schemi di ragionamento molto rigorosi. Tuttavia l’interesse non è sufficiente per creare una vera svolta di modo di sentire e di agire rispetto al pianeta. Lo si può notare dal fatto che ai diversi incontri per un accordo internazionale prevalga in molti casi il puro interesse economico a breve termine, facendo fallire le progettazioni a lungo termine, che richiedono un sacrificio immediato. Laura Conti ha sempre avuto molto chiara l’importanza dell’economia, ma in rapporto al lavoro, non al capitale. Lavoro che deve rimanere al centro e non va mai sacrificato. Ora contemporaneamente l’economia va vista nell’orizzonte più ampio di una effettiva politica per la natura.

Considero molto diversa la posizione di Laura Conti dalla concezione dell’antropocene, di cui non poteva sapere in quanto emersa come termine e progetto politico a partire dal 2000. L’idea alla base dell’antropocene è che la trasformazione provocata dall’essere umano al pianeta è così radicale che si può solo parlare di un pianeta umanizzato, che ha generato una nuova era geologica. Questa antropizzazione ha provocato tuttavia un tale disequilibrio da richiedere un suo superamento. Sull’idea di un diverso rapporto tra l’umano e la natura, per cui è bene che spostiamo il punto di avvistamento in modo da considerarci prima di tutto terresti, Laura Conti non avrebbe potuto che essere d’accordo. Ma la cultura dell’antropocene porta con sé posizioni anche più radicali di questa: il superamento dell’umanità stessa come dominante la Terra. Con la proposta della fine dell’antropocene, si allude alla fine della specie umana. In questo contesto paura della morte, fatalismo e desiderio del superamento dell’umano convivono. Laura Conti, guidata dall’amore per tutte le creature della terra, compresa la specie umana, ha invece sempre pensato ad azioni politiche locali avendo uno sguardo di sistema. Invitando a rendersi responsabili di questo. E avendo chiaro che la natura non è necessariamente a favore degli esseri umani. Riporto qui un suo esempio, su cui ritornerò, perché mi ha molto colpito: lasciando fare alla natura, le donne partorirebbero tantissimi figli, e questo esaurirebbe tutta la loro energia.

Si noti come le due posizioni che ho descritto cancellino la differenza sessuale.

Vorrei mostrare qui come Laura Conti coniughi amore per la natura e senso della giustizia. Dove per giustizia si intende che il deteriorarsi del clima colpisce automaticamente le popolazioni più povere.

Faccio emergere questo gioco tra amore e giustizia dal dialogo a distanza tra Laura Conti ed Elisabetta Donini, donna di riferimento nel dibattito italiano sulla filosofia della scienza negli anni dell’impegno di Conti.

Inizio da questa citazione di Laura Conti: «Che nella lotta per l’ambiente il fattore etico abbia larga importanza, può darsi. Dico “può darsi”, in quanto per me non ne ha: non mi ricordo di avere mai avuto preoccupazioni etiche nelle mie scelte di comportamento, che sono state sempre guidate solo dalla simpatia e dall’antipatia, dall’amore o dal furore. Altri sono diversi da me: per esempio, molti sono antinucleari per motivi etici, in quanto ritengono “immorale” risolvere i nostri problemi accollandoli ai posteri, e cioè disseminando il futuro di scorie radioattive che rimarranno pericolose per molte migliaia di anni, e insinuando nel patrimonio genetico della specie geni di malformazioni e malattie ereditarie. Per me invece la questione delle scorie radioattive non è una questione etica ma un problema di amore: non tanto verso i posteri quanto verso la vita nel suo insieme: amo il sistema vivente, voglio proteggerlo»[1].

Istruttiva in questo senso la discussione sulle argomentazioni dei vegetariani. Per lei il principio per il quale non vanno uccisi e mangiati gli animali è perché li si ama. Mentre rifiuta l’argomentazione che passa attraverso l’universale del diritto: gli animali hanno gli stessi diritti che abbiamo noi.

In Questo pianeta affronta dunque la posizione di Elisabetta Donini di Senza norma né legge[2]. Scrive: «Elisabetta propone un modo “etico” di porsi come ecologisti, diverso dalla “prospettiva scientista” che le appare “al tempo stesso una pretesa troppo arrogante e una semplificazione troppo ingenua”, e in fin dei conti un atteggiamento “imperialistico”, guidato dalla volontà di comprendere le interconnessioni del mondo per poterlo così padroneggiare»[3]. La posizione di Donini, qui riassunta, è fondata su una concezione armonica della natura senza nessuna perdita interna alla natura. A questa obietta Laura Conti che il darwinismo mostra la selezione delle specie e dunque non la crescita armonica di tutte le specie viventi, come invece sostiene il lamarkismo. Selezionare significa “acquisire, conservare, smarrire”[4]. Dunque anche perdere delle specie.

La natura dunque non è affatto armonica. Ad esempio, il rapporto con la natura da parte delle donne non è lineare, ma segnato da molte contraddizioni. Le più importanti riguardano la riproduzione senza sessualità che molte femministe chiedono: «Ci sono infatti nel movimento delle donne diverse contraddizioni, e una è questa: che mentre certi gruppi sostengono le tesi ambientaliste e criticano severamente il mito dell’onnipotenza tecnologica e l’ideologia del “dominio” sulla natura, altri gruppi invece sentono l’impegno fisiologico nella riproduzione come una grave limitazione, e chiedono l’aiuto della tecnologia»[5]. Fa riferimento qui anche soltanto ai contraccettivi.

Ritorno sulla posizione di fondo di Laura Conti, e cioè che la natura non è favorevole di per sé agli esseri umani. E proprio per questo non possiamo “lasciar fare alla natura”. Perché questo significherebbe non soltanto «l’eventualità che le donne generino sino a quindici figli, ma significherebbe anche, a rigor di logica, accettare che la maggior parte di essi sia condannata a morire di fame, di malnutrizione, di malattie infettive»[6].

Amare il sistema vivente significa allora affrontare queste contraddizioni, intervenendo sensatamente soprattutto a livello locale, e sapendo di non poter risolverle in generale.

La fiducia che lei ha riposto nel parlare con la gente di queste questioni, discutere assieme, prendere decisioni in situazioni contingenti qui e ora, mostra un amore per le donne e gli uomini con i quali entra in contatto e con i quali instaura un dialogo non solo di informazione ma profondamente politico[7].

 

 

[1] Laura Conti, Questo pianeta, Editori Riuniti, Roma 1988, p. 233.

[2] Elisabetta Donini, Senza norma né legge, in SE, n. 40.

[3] L. Conti, Questo pianeta, cit., p. 242.

[4] Ivi, p. 243.

[5] Ivi, pp. 248-249.

[6] Ivi, p. 247.

[7] Su questo entra in merito l’articolo di Mariateresa Muraca qui presente.