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L’anima del corpo. Un estratto.

17 Aprile 2016

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Luisa Muraro

 

L’anima del corpo.

Un estratto

 

 

 

Il mio contributo sono alcuni passi da L’anima del corpo, un librino recente che ho dedicato a questo tema. Tra i molti fili del testo, ho privilegiato quello della possibile sostituzione della donna che si chiama la mamma, quella che concepisce e porta a maturazione la nuova creatura,.

 

Da: Luisa Muraro, L’anima del corpo. Contro l’utero in affitto, La Scuola, Brescia 2016.

 

Ma possiamo accettare?

L’idea di commissionare la confezione di una creaturina umana con un regolare contratto commerciale, non so se sia mai apparsa in qualche romanzo di fantascienza per descrivere gli usi e costumi di una civiltà aliena.

Sicuramente è apparsa sul pianeta Terra. Non come una fantasia, ma come una pratica garantita dalla tecnoscienza e dal diritto commerciale. Di conseguenza al fatto che la cosa c’era, è venuta la discussione. Meglio tardi che mai. Si tratta ormai di un fatto compiuto, ha detto qualcuno. Ma gli inizi della specie umana risalgono a più di due milioni di anni fa e questa faccenda di riprodursi per interposta persona, è cominciata trent’anni fa, diamoci il tempo di pensare!

 

Intorno a questi temi si è acceso una discussione a causa di una pratica invero molto discutibile. Chiedo che resistiamo alla meccanica reattiva della contrapposizione. Non contentiamoci di vincere con i numeri, perché non basta quando si tratta della condizione che ci accomuna. Cerchiamo di portare argomenti. Non trascuriamo la qualità dello scambio. Facciamo in modo che il confronto fra posizioni diverse non sia così caricato da pregiudizi, presupposti e scelte già fatte, al punto che non c’è più scambio. Andava così con quelle pesantissime armature del Rinascimento, che per finire non si scontravano due uomini ma due mucchi di ferro irti di ferri. Vorrei trovare argomenti che abbiano, come effetto, di alzare il cielo e allargare l’orizzonte: potere di più e volere qualcosa di meglio, mai quello senza questo. Buoni argomenti si trovano anche distante dalla propria posizione.

Il mio argomento principale è questo: se diamo altro posto ancora alla tecnica e al mercato in ciò che riguarda la riproduzione degli esseri umani, mettiamo a rischio la relazione materna, da una parte, e dall’altra la ricerca di un nuovo e più ricco senso della paternità, che è iniziata con la fine del patriarcato. Questa ricerca e quella relazione sono presenti e attive, sono fattori vivi di umanità in un mondo e in un tempo in cui non credo che possiamo sprecare fattori vivi di umanità.

 

Lo scambio di vita tra i due esseri umani, quello che arriva al mondo e quello che ve lo accompagna, domanda di andare avanti senza interrompersi. E questo di solito si ottiene con l’opera di una sola donna, la mater semper certa del diritto antico, colei che resta incinta e lo accetta, più o meno contenta. E avrà fine quando quei due avranno imparato, nel corso del loro stesso rapporto, a sostituire lo scambio delle materie con quello dei segni. Tutto questo tra variazioni, imprevisti e incidenti, anche dolorosi, che sono il marchio di fabbrica dell’essere umano.

Può capitare che quella progressione s’interrompa: la creatura vivrà continuando l’opera, aiutata da chi vorrà aiutarla. A certe condizioni, ne è capace. Anche in un’incubatrice.

Ma possiamo accettare che l’interruzione venga programmata senza una necessità?

 

Il lavoro della creatura piccola

La potenza della relazione materna, ho finito per pensare, è frutto, principalmente, del lavoro che fa la creatura piccola, assecondata, poco o tanto, dal corpo e dalla mente della donna. È importante che quest’ultima abbia detto di sì e acconsenta. È vero, d’altra parte, quello che Françoise Dolto, psicanalista dell’infanzia presso l’Hôtel Dieu di Parigi, insegnava a dire alle bambine/i abbandonati anche dalla madre: “sei qui, sei viva, sei vivo, vuol dire che la mamma ti ha voluto bene”. Un bene sufficiente al desiderio di vivere. Quelli che vengono al mondo, hanno bisogno di saperlo per non perdere le forze… Cioè, tutti.

 

Si affaccia qui il pensiero che, parecchio tempo fa, scrivendo su questi temi, mi dettò un testo intitolato O chi per essa. Non solo la relazione materna coinvolge più persone, come ho detto sopra. Può anche ricostituirsi tra la creatura bisognosa e una persona adulta, purché animata dall’esigenza interiore di subentrare alla madre naturale.

 

Ebbene, ora sappiamo che, per realizzare il loro desiderio, gli aspiranti genitori possono contare non soltanto sui soldi, non soltanto sulla tolleranza legale di alcuni paesi, non soltanto sul diritto commerciale che nella cultura borghese ha creato una vera e propria mentalità. Possono contare anche sulla collaborazione della creaturina che essi fanno propria. Ed è la parte essenziale dell’operazione. La creatura, infatti, separata dalla madre, ha la capacità, acquisita nella fase di vita intrauterina, di fare il lavoro, biologico e simbolico, di ricostituirla nelle persone che le subentrano.

Pensando a lei, bambina o bambino, diciamo: brava! bravo! Ma alle persone adulte, vorrei dire: se le parole hanno un senso, voi siete i surrogati! Voi surrogate la donna che era in relazione di madre con la sua creatura e, se ci riuscirete, sarà grazie al “lavoro” di quest’ultima che, ignara delle vostre manovre, vi sta aiutando al suo meglio.

 

La creatura che, ignara delle manovre della surrogazione, ha collaborato a ricostituire la figura materna, quando verrà a sapere o a sospettare, capirà? perdonerà? Capirà il desiderio, forse, ma, temo, non l’artificio della separazione che li mette di traverso alla traiettoria verso quella direzione del tempo che chiamiamo passato.

(…)